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PEDAGOGIA GENERALE
(obiettivi)
Il corso di insegnamento riguarda la formazione teorica e pratica in pedagogia generale del futuro docente della scuola dell’infanzia e della scuola primaria. La Pedagogia generale è disciplina di base nel curricolo della formazione dell’insegnante ed è propedeutica ad ogni altra disciplina. Per questa ragione il suo studio va considerato fondamentale per acquisire il linguaggio scientifico necessario a comprendere l’articolazione epistemologica, storica, metodologica che introduce alla conoscenza pedagogica nel contesto nazione e nella prospettiva comparativa internazionale delle scienze dell’educazione. La definizione della teoria pedagogica si arricchisce e si trasforma nel tempo e nello spazio muovendo da principi universalmente condivisi e divenuti la ragione dell’educare. La pedagogia generale forma all’analisi e alla comprensione del processo educativo con la riflessione critica intorno agli elementi che caratterizzano l’azione educativa tenendo conto della centralità della persona, origine e fine del discorso sull’educazione. La considerazione dello sfondo antropologico nel quale si innesta il fare scuola del futuro docente richiede la formazione di una mentalità aperta ed una competenza professionale in continuo aggiornamento, in grado di rispondere alle sfide contemporanee che rendono problematica la questione della crescita dell’infanzia. Lo studio della pedagogia si avvale della produzione di significato dell’educare e considera i contributi rilevanti di autori e scuole di pensiero che segnano il cammino di trasformazioni che sono, in parte consolidate, come dato storico e normativo, ed in parte in movimento, come dato del divenire dell’essere stesso dell’educazione e dell’insegnante. L’interazione dinamica tra conoscenza posseduta e conoscenza acquisita permette di entrare nel cuore dei problemi educativi e di affrontarli con la competenza necessaria. L’itinerario conduce alla definizione del profilo del docente in Italia ed in Europa, inoltrandosi nella vicenda formativa delineata da educatori e pedagogisti che hanno coniugato il fare scuola con l’elaborazione di quadri teorici, e di pratiche vissute, scientificamente rilevanti. Il tessuto connettivo delle diverse fasi di svolgimento dell’insegnamento, condotto tendendo conto dell’equilibrio tra teoria, pratica e sviluppo, è rappresentato dalla definizione di una triplice identità di: soggetto, oggetto, contesto di conoscenza. L’identità della persona umana, soggetto che conosce; l’identità disciplinare, oggetto di conoscenza; l’identità del contesto risultato della interazione attiva tra soggetto ed oggetto. Dal punto di vista etico una riflessione specifica concerne la intelaiatura umanistica nella quale si collocano i valori di rispetto, pace, giustizia, democrazia, sostenibilità ai quali educare le generazioni che nella scuola vivono la prima esperienza di comunità educante e di responsabilità integrale.
Il corso di Pedagogia generale introduce alla conoscenza e alla comprensione dei fondamenti, delle strategie e dei metodi concernenti la formazione umana. Lo studio degli aspetti epistemologici propri della pedagogia e la riflessione sulle realizzazioni pratiche dell’educazione costituiscono le articolazioni di un unico processo di creazione del sapere teoretico-concettuale nel quale si ravvedono le valenze metodologiche della disciplina. Gli obiettivi formativi sono precisati in cinque aree di studio, ogni area è specificata in due dimensioni pedagogico-educative attraverso le quali si raggiungono le competenze richieste, secondo quanto qui di seguito illustrato.
Area di studio relativa alla conoscenza e alla comprensione del discorso pedagogico: - definire ed identificare il campo epistemologico e metodologico della disciplina; - conoscere la teoria dell’educazione nel contesto nazionale, europeo, internazionale. Area di studio relativa alla applicazione della conoscenza e della comprensione: - analizzare le migliori pratiche educative della scuola con riferimento a metodi pedagogici consolidati; - identificare e generalizzare fenomeni e processi educativi. Area dell’autonomia di giudizio: - collegare la teoria pedagogica alle situazioni scolastiche; - valutare le innovazioni pedagogiche. Area delle abilità comunicative: - usare le strategie di interazione umana in diversi contesti; - sviluppare la competenza nella progettazione e nella organizzazione del pensiero pedagogico e dell’azione educativa. Area delle capacità di apprendimento: - esercitare la disponibilità alla ricerca scientifica in generale e nei contesti scolastici; - comprendere l’emergenza educativa identificando i problemi e proponendo le soluzioni nella prospettiva della formazione continua.
Canale: CANALE 1
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FIORUCCI MASSIMILIANO
( programma)
PROGRAMMA Il corso si propone di fornire gli orientamenti e le cornici teoriche che hanno determinato lo sviluppo della pedagogia come sapere scientifico autonomo, approfondendo i concetti di educazione, formazione e insegnamento. Tale percorso si intreccia con le trasformazioni sociali, culturali e politiche realizzatesi nel corso del ‘900, che hanno influenzato gli sviluppi futuri della materia. Attraverso il contributo di diversi autori, ci si soffermerà sui fondamenti teorici della pedagogia, riflettendo sulla sua capacità di porsi in contrasto ai fenomeni dell’esclusione sociale, attribuendo alla formazione un ruolo emancipatorio. Tale prospettiva verrà approfondita soprattutto grazie ad alcuni testi che permetteranno di conoscere esperienze educative in contesti di esclusione e a riflettere sull'attualità, con un approccio sistemico e complesso che richiede lo sviluppo di un approccio critico e trasformativo rispetto al ruolo dell'insegnante, al rapporto docente-studente, e più in generale al senso della scuola.
OBIETTIVI: - conoscere i fondamenti e le finalità della pedagogia generale e dei modelli educativo-formativi; - analizzare il pensiero pedagogico nelle sue molteplici connessioni con le trasformazioni storicosociali; - definire la terminologia pedagogica con particolare riferimento ai concetti, agli obiettivi formativi e agli strumenti metodologici delle scienze dell’educazione; - contestualizzare il ruolo dell’insegnante come figura strategica a livello educativo, sociale e politico.
( testi)
1. CAMBI F., Le pedagogie del Novecento, Laterza, Roma-Bari 2019. 2. DEWEY J., Le fonti di una scienza dell’educazione, traduzione di testo a cura degli studenti e delle studentesse del corso di Pedagogia generale II, Corso di Laurea in Scienze dell'Educazione e della Formazione, Dipartimento di Psicologia dei Processi di Sviluppo e Socializzazione - Sapienza, Università di Roma, prof.ssa Anna Salerni disponibile al sito http://www.fmag.unict.it/Public/Uploads/links/Le%20fonti%20di%20una%20scienza%20dell'educa zione%20nuova%20traduzione%20onl.pdf. 3. BIESTA G. J. J., Riscoprire l’insegnamento, Raffaello Cortina, Milano, 2022. 4. SCUOLA DI BARBIANA, Lettera a una professoressa, Libreria Editrice Fiorentina, Firenze (qualsiasi anno di edizione)
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RICCARDI VERONICA
( programma)
Il corso si propone di fornire gli orientamenti e le cornici teoriche che hanno determinato lo sviluppo della pedagogia come sapere scientifico autonomo, approfondendo i concetti di educazione, formazione e insegnamento. Tale percorso si intreccia con le trasformazioni sociali, culturali e politiche realizzatesi nel corso del ‘900, che hanno influenzato gli sviluppi futuri della materia. Attraverso il contributo di diversi autori, ci si soffermerà sui fondamenti teorici della pedagogia, riflettendo sulla sua capacità di porsi in contrasto ai fenomeni dell’esclusione sociale, attribuendo alla formazione un ruolo emancipatorio. Tale prospettiva verrà approfondita soprattutto grazie ad alcuni testi che permetteranno di conoscere esperienze educative in contesti di esclusione e a riflettere sull'attualità, con un approccio sistemico e complesso che richiede lo sviluppo di un approccio critico e trasformativo rispetto al ruolo dell'insegnante, al rapporto docente-studente, e più in generale al senso della scuola.
( testi)
1. CAMBI F., Le pedagogie del Novecento, Laterza, Roma-Bari 2019.
2. DEWEY J., Le fonti di una scienza dell’educazione, traduzione di testo a cura degli studenti e delle studentesse del corso di Pedagogia generale II, Corso di Laurea in Scienze dell'Educazione e della Formazione, Dipartimento di Psicologia dei Processi di Sviluppo e Socializzazione - Sapienza, Università di Roma, prof.ssa Anna Salerni disponibile al sito http://www.fmag.unict.it/Public/Uploads/links/Le%20fonti%20di%20una%20scienza%20dell'educazione%20nuova%20traduzione%20onl.pdf.
3. BIESTA G. J. J., Riscoprire l’insegnamento, Raffaello Cortina, Milano, 2022.
4. SCUOLA DI BARBIANA, Lettera a una professoressa, Libreria Editrice Fiorentina, Firenze (qualsiasi anno di edizione).
Canale: CANALE 2
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GIOSI MARCO
( programma)
Introduzione al Corso Negli ultimi decenni la pedagogia, al pari delle altre discipline scientifiche, si è costantemente interrogata in merito al proprio statuto. In tal modo ha posto sotto analisi il suo stesso linguaggio, la propria struttura semantica e sintattica, i modelli logici di riferimento, rilevando come centrale una tensione dialettica tra logica/epistemologia e componenti valoriali e normative di tipo filosofico, politico e scientifico. Inoltre la pedagogia si è riconosciuta come punto di convergenza di svariate discipline quali la psicologia, la sociologia, la biologia, l’ antropologia, etc. Ma, tuttavia, sarebbe riduttivo limitare l’analisi delle “metamorfosi” subite dalla pedagogia negli ultimi decenni all’ambito del solo dibattito scientifico-teoretico, entro un processo, pur assai fecondo e dialettico, entro il quale differenti paradigmi teorici e di ricerca si sono confrontati sul terreno delle questioni poste in ambito educativo. Occorre, infatti, guardare anche e soprattutto, al complesso insieme delle trasformazioni sociali, politiche, economiche e culturali che hanno, allo stesso tempo, provocato e accompagnato il processo attraverso il quale la pedagogia contemporanea si è, sempre di più, venuta a costituire come sapere critico scientificamente fondato, in particolare con riferimento al periodo storico successivo al secondo dopoguerra. Ad essere in gioco, all’interno di tale processo trasformativo, è l’identità stessa del sapere pedagogico ma anche e soprattutto alcune categorie-chiave, alcune nozioni basilari, ed elementi strutturali di tale scienza. Alla luce di ciò, il Corso di Pedagogia Generale in questione si articolerà lungo alcuni assi portanti che saranno orientati nella messa a fuoco di passaggi essenziali ai fini delle trasformazioni prima indicate:
A) Statuto epistemologico, ambiti e funzioni della pedagogia. Dalla filosofia alle scienze dell'educazione. Dal punto di vista storico, la pedagogia nasce come riflessione sui processi educativi, ossia come pensiero orientato all' analisi e alla comprensione delle molteplici prassi educative. E proprio in questa dialettica tra la dimensione della prassi educativa e quella della riflessione teorica, che il sapere pedagogico si è venuto costruendo e definendo nelle sue differenti fasi e forme. Ma, per un arco di tempo assai lungo, è stata la filosofia a "pensare" i processi educativi, e per i maggiori rappresentanti del pensiero occidentale tale riflessione educativa (da Platone ad Aristotele, da Seneca ad Agostino, da Erasmo a Locke, da Rousseau a Schiller, fino a Gentile, Dewey, Gramsci, etc.) ha costituito un passaggio teoretico per così dire "ulteriore" e successivo rispetto al processo di elaborazione filosofica del proprio pensiero. Quanto mai cruciale è la questione riguardante l'origine, la natura e il significato delle Scienze dell' educazione. Queste si sono venute affermando e definendo nel loro profilo, nel corso del Novecento (ma già nell' Ottocento con la riflessione di Johann Friedrich Herbart), all'interno di una crescita progressiva e costante, in particolare negli ultimi decenni, nel momento in cui si è andata evidenziando una conversione definitiva e totale di una pedagogia ancora subordinata alla filosofia (come nella concezione propria di Giovanni Gentile, espressa in Sommario di pedagogia come scienza filosofica del 1913-14) nelle Scienze dell’educazione. Passaggio emblematico di tale trasformazione/evoluzione è quello costituito dalla riflessione di John Dewey contenuta ne Le fonti di una scienza dell' educazione (1929). Nella attuale condizione la pedagogia viene a declinarsi, sempre di più, mediante il riferimento a saperi specifici, definiti, extra-pedagogici: storici, psicologici, biologici, sociologici, antropologici, ma anche filosofici e linguistici, etc. Vi è, sempre più, una vasta congerie di saperi che entrano a far parte della pedagogia, costituendone il fondamento cognitivo essenziale e irrinunciabile. Ecco, allora, porsi la questione concernente lo statuto epistemologico del sapere pedagogico: che tipo di scienza è la pedagogia, o meglio, le scienze dell'educazione?
B)Fini e valori dell' educare. Paideia, educazione, cultura, humanitas. È nostra convinzione che porre la questione dell'educazione, oggi, equivalga nella sostanza a interrogarsi su cosa sia l'umano. E su cosa possa allontanarci da esso, negandolo o svuotandolo di senso e sostanza. La posizione di Platone, a tale proposito, appare emblematicamente esplicitata quando, proprio nell' incipit del settimo libro della Repubblica scrive che "l'uomo può essere educato, oppure può non essere educato" (παιδείας τε πέρι καὶ ἀπαιδευσίας) ponendo, in maniera radicale, la questione educativa come proprium dell'umano, cioè come possibilità peculiare, intrinseca e costitutiva dell'essere umano. Ma facendo altresì intendere come tale qualità specifica della condizione umana non costituisca, di per sé, garanzia ai fini della realizzazione compiuta di tale potenzialità o principio di formazione umana, rivendicando l'assoluta necessità dell'atto educativo, come atto intenzionale, storico, non naturale ma da perseguire, coltivare con consapevolezza piena. La nascita dell’idea di paideia costituisce, dunque, un momento emblematico e cruciale riguardo allo sviluppo di una riflessione filosofico-pedagogica, ma anche antropologica, etico-morale, culturale, politica, relativamente alla dimensione dell' umano. L’uomo a cui si guarda è pensato all'interno della polis e, nella successiva riflessione neostoica e latina, con Cicerone, oltre l’etnia, in quanto portatore di una humanitas veramente universale, che emerge a sua volta dall’innesto di ragione/polis/cultura ma viene vissuta nell’ "anima" del soggetto (e qui è la riflessione cristiana e agostiniana a valere) e subisce così un processo di interiorizzazione/radicalizzazione (nel senso del trovare le radici). La cultura è cultura, anch’essa, universale e peculiarmente umana, che vive nell’uomo e per l’uomo e che costituisce l’umanizzazione dell’uomo. Oggi, nell' attuale società della Tecnica e della Comunicazione, come dovrà essere, dunque, l'uomo educato? Egli dovrà perseguire una forma di vita valida e desiderabile per se stessa, e non solo perché possa essere utile in vista di qualcos’altro. La preoccupazione per il valore intrinseco dell’educazione è una inequivocabile presa di posizione contro determinate tendenze attuali che inducono a vedere il lavoro educativo come una semplice preparazione volta a soddisfare richieste circostanziali. Occorre, secondo noi, invece, considerare l’educazione come qualcosa di specifico e di dovuto all’uomo proprio per l’intrinseca necessità del suo sviluppo come essere umano. L’uomo educato, qualunque apprendimento abbia realizzato, non dovrà limitarsi ad acquisire alcune abilità o destrezze operative; ma perseguire soprattutto la comprensione dei princìpi del proprio agire, ben oltre, dunque, una concezione utilitaristica dell’educazione
C) Educazione e formazione. La armonizzazione pedagogica dei saperi o scienze dell’educazione deve essere attivata mediante una riflessività che ponga in evidenza gli elementi peculiari del pedagogico, ossia quell' educare/formare, che opera come datore di senso. Ed è proprio la pedagogia intesa nel suo aspetto di riflessione critica, in quanto riflessione sulle problematiche dell’educare e del formare, che è chiamata a svolgere tale azione di coordinamento, sia promuovendo l’elaborazione delle scienze dell’educazione, sia ponendone in evidenza le dissonanze rispetto al pedagogico, sia orientandosi nel senso di tradurre e integrare linguaggi, metodi e presupposti differenti, sul comune terreno che è, per l'appunto, quello attinente all'azione dell' educare e del formare. Ma quale il senso dei due termini, educare/formare, educazione/formazione? Ambedue non debbono essere considerati equivalenti e posseggono uno statuto fenomenologico differente, sebbene entrambi si collochino al cuore del pedagogico, rappresentandone un po’ i due poli di oscillazione. L’educare reca in sé un significato più marcatamente sociale, strettamente intrecciato con la sfera delle istituzioni e, in virtù di ciò, esprime in misura maggiore la dimensione conformativa, la vocazione di orientamento delle condotte di vita, promuovendo processi calibrati su modelli sociali, nonché su sistemi axiologici di riferimento. Ecco, allora, che l’educazione risulta essere più conformatrice, maggiormente direttiva, e, in passato, anche più autoritaria. Il processo del formarsi appare, invece, come precipuo del soggetto in formazione, nel suo farsi e divenire tale, modellandosi su tempi, modi e attitudini di natura assolutamente personale. Entro tale prospettiva, come si vede, il divenire soggetto/persona e il definirsi attraverso una forma del proprio sé, appaiono percorsi quanto mai complessi, non lineari, discontinui, esposti a mutamenti, progressi, fasi di stasi e stagnazione, e mai del tutto progettabili e programmabili Una categoria di formazione, dunque, avente un’intenzionalità, una processualità e sue finalità specifiche, esplicantesi a più livelli, secondo dispositivi riconducibili, sempre di più, alla "cura di sé", alla "coltivazione" dell’Io, ma anche alla dimensione dell’ autenticità (categoria che ha già una storia coincidente, di fatto, con la modernità: da Rousseau a Heidegger), sempre più nutrita di creatività, immaginazione e all’interno di uno spazio di formazione connotato in senso estetico.
D) Capacità critica e metariflessione etico-morale. Tradizionalmente l’educazione ha sempre mirato, tra le altre possibili e differenziate finalità, ad un pieno sviluppo di un’ autonomia personale nell’individuo. Un elemento cruciale di tale autonomia è quello connesso allo sviluppo di un pensiero critico all’interno dei diversi dominii della razionalità. Lo sviluppo di un autonomia di pensiero è stato, così, definito come un attitudine o habitus critico o di capacità valutativa critica nei confronti di una preesistente tradizione di valori, usanze, credenze, culturalmente incardinati in una forma di vita di riferimento. In tal senso un’educazione umanistica non deve limitarsi ad una semplice trasmissione di contenuti di pensiero, conoscenze, valori (ciò che "si conosce", che "si crede", "si pensa"), bensì deve attenere all’acquisizione di fondamentali principi in grado di produrre una sorta di responsabilizzazione cognitiva nell’individuo, mettendolo in grado di formulare giudizi che non siano il semplice riflesso o la conseguenza di un sistema educativo conformante. Permettendogli, attraverso di essi, di mettere in questione i fondamenti di quest’ultimo. Gli elementi costitutivi di tale modello educativo sono diversi e molteplici: la capacità di saper distinguere il punto di vista particolare e quello generale, non soltanto in senso strettamente cognitivo, ossia con riferimento alla capacità applicativa di categorie logico-concettuali a situazioni specifiche mediante processi di generalizzazione. È rilevante anche saper discernere ciò che appartiene ad uno specifico orizzonte culturale, proprio di una specifica tradizione di credenze e valori, da principi, sia conoscitivi che etico-morali, o forme di tipo, per così dire, trascendentale. Ne deriva, quindi, da parte dell’individuo, la capacità o la possibilità di assumere consapevolmente e con competenza cognitiva, posizioni etico-morali, orientamenti di pensiero, al fine di poter anche agire di conseguenza, attraverso atti e comportamenti (ma anche credenze, opinioni e idee) che non siano la pura emanazione del background culturale e valoriale di riferimento, bensì il frutto di una sua autonoma capacità di estraniamento rispetto ad esso e di proiezione di se stesso secondo prospettive "imparziali" (il che non significa certo disconoscere la storicità e la connotazione culturale della propria formazione personale) ndicazioni conclusive: crucialità educativa del trinomio lingua-linguaggio-parola La pedagogia restituisce alle pratiche scolastiche il senso e la struttura di ogni costruzione di un umano compiuto: la lingua, il linguaggio, la parola. Le linee di sviluppo del comportamento intelligente, propriamente umano, mostrano, senza possibili dubbi ed equivoci, la centralità dell’apprendimento linguistico e dell’uso delle lingue nel formarsi e nello strutturarsi del pensiero e dell’azione, la forza modellatrice sottesa all’esercizio della facoltà di parola. Questa centralità è rafforzata e potenziata dalla scrittura e dagli altri mezzi nei quali ha luogo la comunicazione linguistica. L’uso della scrittura e della lettura, le forme di vita che si connettono a tale uso, sono un prodotto ulteriore dell’esistenza storico-sociale dell’uomo, qualcosa che non si era visto prima né in altre specie viventi, ma soprattutto qualcosa che deve essere appreso con uno sforzo intenzionale, continuo e duraturo. Del resto, le stesse lingue storico-naturali sono sistemi complessi che aggregano nel loro funzionamento concreto mezzi plurali: suono, gesto, figurazione, tono, ritmo, uso dello spazio. L’uso quotidiano del linguaggio fonde e associa mille media – e questo è vero da sempre, è proprio dell’umano, non dipende, come saremmo ingenuamente propensi a credere, dallo sviluppo di tecniche di comunicazione elettronica che facilitano l’uso combinato di alcuni media. La centralità della parola e del linguaggio è nella forza modellatrice e nel ruolo del pensiero linguistico di favorire la coscienza e il controllo delle operazioni intellettuali e delle azioni. La riflessione pedagogica sulla scuola, dunque, recepisce questa centralità e ne propone una lettura teorica come centro di movimento e di ordine, necessario e ineludibile, di un’educazione peraltro imperniata sul gioco, sulla narrazione (assieme alla categorizzazione operazione linguistica per eccellenza), sull’uso dei corpi in movimento, sulle capacità plastiche e figurative. Proponiamo quindi una visione pedagogica che intende l’educazione linguistica come viva e concreta base per pratiche di insegnamento e apprendimento in cui il linguaggio e la parola sono la base e il mezzo di un’educazione aperta e plurale: lingua nazionale e lingue straniere, calcolo e pensiero astratto, matematiche, scienze naturali, arti figurative praticate e godute, teatro, musica, sport, rappresentazione filmica cinematografica o televisiva - e via enumerando. Un’educazione linguistica, reinterpretata alla luce di pratiche e riflessioni come quelle di Vygotskij e Milani, che travalichi ampiamente il periplo delle tradizionali discipline linguistiche e rappresenti, come potentemente espresso nell’ultimo capitolo «pensiero e parola» di Pensiereo e linguaggio (uno dei fondamentali testi di studio di questo corso), il fulcro dello sviluppo dell’intelligenza e della vita cosciente, la base sulla quale si costruiscono o almeno si organizzano tutte le altre forme di azione, interazione e comunicazione umana. Se la scrittura potenzia, e in modo logaritmico, queste possibilità di costruzione e organizzazione, la scuola è il luogo della scrittura, della scrittura e della lettura, del calcolo e del disegno: qualcosa di non innato che ha prodotto e produce mondi nuovi, e ci proietta, ogni volta, in mondi da inventare. La riflessione pedagogica, sulla scorta di Milani e Vygotskij, coglie il carattere non spontaneo e non innato della scrittura (e delle altre forme di comportamento tipicamente umane e non innate, come appunto il calcolo, il disegno, l’uso degli strumenti) e accetta la sfida di ripensare la scuola, oggi, nel nostro vivere in società elettroniche, conflittuali, plurali e globalizzate, come sfida difficile ed esaltante del vivere propriamente umano - di un vivere pieno.
( testi)
L. Vygotskij, Pensiero e linguaggio (a cura di L. Mecacci), Roma-Bari, Laterza, 2008. F, Cambi, Manuale di storia della pedagogia, Roma-Bari, Laterza, 2003. M. Giosi, Alfabeti della polis. L’educazione come spazio narrativo, Roma, Anicia, 2022 (In stampa). R.M. Postiglione, Lorenzo Milani (In stampa) Roma, Anicia, 2022.
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POSTIGLIONE ROCCO MARCELLO
( programma)
Introduzione al Corso Negli ultimi decenni la pedagogia, al pari delle altre discipline scientifiche, si è costantemente interrogata in merito al proprio statuto. In tal modo ha posto sotto analisi il suo stesso linguaggio, la propria struttura semantica e sintattica, i modelli logici di riferimento, rilevando come centrale una tensione dialettica tra logica/epistemologia e componenti valoriali e normative di tipo filosofico, politico e scientifico. Inoltre la pedagogia si è riconosciuta come punto di convergenza di svariate discipline quali la psicologia, la sociologia, la biologia, l’ antropologia, etc. Ma, tuttavia, sarebbe riduttivo limitare l’analisi delle “metamorfosi” subite dalla pedagogia negli ultimi decenni all’ambito del solo dibattito scientifico-teoretico, entro un processo, pur assai fecondo e dialettico, entro il quale differenti paradigmi teorici e di ricerca si sono confrontati sul terreno delle questioni poste in ambito educativo. Occorre, infatti, guardare anche e soprattutto, al complesso insieme delle trasformazioni sociali, politiche, economiche e culturali che hanno, allo stesso tempo, provocato e accompagnato il processo attraverso il quale la pedagogia contemporanea si è, sempre di più, venuta a costituire come sapere critico scientificamente fondato, in particolare con riferimento al periodo storico successivo al secondo dopoguerra. Ad essere in gioco, all’interno di tale processo trasformativo, è l’identità stessa del sapere pedagogico ma anche e soprattutto alcune categorie-chiave, alcune nozioni basilari, ed elementi strutturali di tale scienza. Alla luce di ciò, il Corso di Pedagogia Generale in questione si articolerà lungo alcuni assi portanti che saranno orientati nella messa a fuoco di passaggi essenziali ai fini delle trasformazioni prima indicate: A) Statuto epistemologico, ambiti e funzioni della pedagogia. Dalla filosofia alle scienze dell'educazione. Dal punto di vista storico, la pedagogia nasce come riflessione sui processi educativi, ossia come pensiero orientato all' analisi e alla comprensione delle molteplici prassi educative. E proprio in questa dialettica tra la dimensione della prassi educativa e quella della riflessione teorica, che il sapere pedagogico si è venuto costruendo e definendo nelle sue differenti fasi e forme. Ma, per un arco di tempo assai lungo, è stata la filosofia a "pensare" i processi educativi, e per i maggiori rappresentanti del pensiero occidentale tale riflessione educativa (da Platone ad Aristotele, da Seneca ad Agostino, da Erasmo a Locke, da Rousseau a Schiller, fino a Gentile, Dewey, Gramsci, etc.) ha costituito un passaggio teoretico per così dire "ulteriore" e successivo rispetto al processo di elaborazione filosofica del proprio pensiero. Quanto mai cruciale è la questione riguardante l'origine, la natura e il significato delle Scienze dell' educazione. Queste si sono venute affermando e definendo nel loro profilo, nel corso del Novecento (ma già nell' Ottocento con la riflessione di Johann Friedrich Herbart), all'interno di una crescita progressiva e costante, in particolare negli ultimi decenni, nel momento in cui si è andata evidenziando una conversione definitiva e totale di una pedagogia ancora subordinata alla filosofia (come nella concezione propria di Giovanni Gentile, espressa in Sommario di pedagogia come scienza filosofica del 1913-14) nelle Scienze dell’educazione. Passaggio emblematico di tale trasformazione/evoluzione è quello costituito dalla riflessione di John Dewey contenuta ne Le fonti di una scienza dell' educazione (1929). Nella attuale condizione la pedagogia viene a declinarsi, sempre di più, mediante il riferimento a saperi specifici, definiti, extra-pedagogici: storici, psicologici, biologici, sociologici, antropologici, ma anche filosofici e linguistici, etc. Vi è, sempre più, una vasta congerie di saperi che entrano a far parte della pedagogia, costituendone il fondamento cognitivo essenziale e irrinunciabile. Ecco, allora, porsi la questione concernente lo statuto epistemologico del sapere pedagogico: che tipo di scienza è la pedagogia, o meglio, le scienze dell'educazione?
B)Fini e valori dell' educare. Paideia, educazione, cultura, humanitas. È nostra convinzione che porre la questione dell'educazione, oggi, equivalga nella sostanza a interrogarsi su cosa sia l'umano. E su cosa possa allontanarci da esso, negandolo o svuotandolo di senso e sostanza. La posizione di Platone, a tale proposito, appare emblematicamente esplicitata quando, proprio nell' incipit del settimo libro della Repubblica scrive che "l'uomo può essere educato, oppure può non essere educato" (παιδείας τε πέρι καὶ ἀπαιδευσίας) ponendo, in maniera radicale, la questione educativa come proprium dell'umano, cioè come possibilità peculiare, intrinseca e costitutiva dell'essere umano. Ma facendo altresì intendere come tale qualità specifica della condizione umana non costituisca, di per sé, garanzia ai fini della realizzazione compiuta di tale potenzialità o principio di formazione umana, rivendicando l'assoluta necessità dell'atto educativo, come atto intenzionale, storico, non naturale ma da perseguire, coltivare con consapevolezza piena. La nascita dell’idea di paideia costituisce, dunque, un momento emblematico e cruciale riguardo allo sviluppo di una riflessione filosofico-pedagogica, ma anche antropologica, etico-morale, culturale, politica, relativamente alla dimensione dell' umano. L’uomo a cui si guarda è pensato all'interno della polis e, nella successiva riflessione neostoica e latina, con Cicerone, oltre l’etnia, in quanto portatore di una humanitas veramente universale, che emerge a sua volta dall’innesto di ragione/polis/cultura ma viene vissuta nell’ "anima" del soggetto (e qui è la riflessione cristiana e agostiniana a valere) e subisce così un processo di interiorizzazione/radicalizzazione (nel senso del trovare le radici). La cultura è cultura, anch’essa, universale e peculiarmente umana, che vive nell’uomo e per l’uomo e che costituisce l’umanizzazione dell’uomo. Oggi, nell' attuale società della Tecnica e della Comunicazione, come dovrà essere, dunque, l'uomo educato? Egli dovrà perseguire una forma di vita valida e desiderabile per se stessa, e non solo perché possa essere utile in vista di qualcos’altro. La preoccupazione per il valore intrinseco dell’educazione è una inequivocabile presa di posizione contro determinate tendenze attuali che inducono a vedere il lavoro educativo come una semplice preparazione volta a soddisfare richieste circostanziali. Occorre, secondo noi, invece, considerare l’educazione come qualcosa di specifico e di dovuto all’uomo proprio per l’intrinseca necessità del suo sviluppo come essere umano. L’uomo educato, qualunque apprendimento abbia realizzato, non dovrà limitarsi ad acquisire alcune abilità o destrezze operative; ma perseguire soprattutto la comprensione dei princìpi del proprio agire, ben oltre, dunque, una concezione utilitaristica dell’educazione
C) Educazione e formazione. La armonizzazione pedagogica dei saperi o scienze dell’educazione deve essere attivata mediante una riflessività che ponga in evidenza gli elementi peculiari del pedagogico, ossia quell' educare/formare, che opera come datore di senso. Ed è proprio la pedagogia intesa nel suo aspetto di riflessione critica, in quanto riflessione sulle problematiche dell’educare e del formare, che è chiamata a svolgere tale azione di coordinamento, sia promuovendo l’elaborazione delle scienze dell’educazione, sia ponendone in evidenza le dissonanze rispetto al pedagogico, sia orientandosi nel senso di tradurre e integrare linguaggi, metodi e presupposti differenti, sul comune terreno che è, per l'appunto, quello attinente all'azione dell' educare e del formare. Ma quale il senso dei due termini, educare/formare, educazione/formazione? Ambedue non debbono essere considerati equivalenti e posseggono uno statuto fenomenologico differente, sebbene entrambi si collochino al cuore del pedagogico, rappresentandone un po’ i due poli di oscillazione. L’educare reca in sé un significato più marcatamente sociale, strettamente intrecciato con la sfera delle istituzioni e, in virtù di ciò, esprime in misura maggiore la dimensione conformativa, la vocazione di orientamento delle condotte di vita, promuovendo processi calibrati su modelli sociali, nonché su sistemi axiologici di riferimento. Ecco, allora, che l’educazione risulta essere più conformatrice, maggiormente direttiva, e, in passato, anche più autoritaria. Il processo del formarsi appare, invece, come precipuo del soggetto in formazione, nel suo farsi e divenire tale, modellandosi su tempi, modi e attitudini di natura assolutamente personale. Entro tale prospettiva, come si vede, il divenire soggetto/persona e il definirsi attraverso una forma del proprio sé, appaiono percorsi quanto mai complessi, non lineari, discontinui, esposti a mutamenti, progressi, fasi di stasi e stagnazione, e mai del tutto progettabili e programmabili Una categoria di formazione, dunque, avente un’intenzionalità, una processualità e sue finalità specifiche, esplicantesi a più livelli, secondo dispositivi riconducibili, sempre di più, alla "cura di sé", alla "coltivazione" dell’Io, ma anche alla dimensione dell’ autenticità (categoria che ha già una storia coincidente, di fatto, con la modernità: da Rousseau a Heidegger), sempre più nutrita di creatività, immaginazione e all’interno di uno spazio di formazione connotato in senso estetico.
D) Capacità critica e metariflessione etico-morale. Tradizionalmente l’educazione ha sempre mirato, tra le altre possibili e differenziate finalità, ad un pieno sviluppo di un’ autonomia personale nell’individuo. Un elemento cruciale di tale autonomia è quello connesso allo sviluppo di un pensiero critico all’interno dei diversi dominii della razionalità. Lo sviluppo di un autonomia di pensiero è stato, così, definito come un attitudine o habitus critico o di capacità valutativa critica nei confronti di una preesistente tradizione di valori, usanze, credenze, culturalmente incardinati in una forma di vita di riferimento. In tal senso un’educazione umanistica non deve limitarsi ad una semplice trasmissione di contenuti di pensiero, conoscenze, valori (ciò che "si conosce", che "si crede", "si pensa"), bensì deve attenere all’acquisizione di fondamentali principi in grado di produrre una sorta di responsabilizzazione cognitiva nell’individuo, mettendolo in grado di formulare giudizi che non siano il semplice riflesso o la conseguenza di un sistema educativo conformante. Permettendogli, attraverso di essi, di mettere in questione i fondamenti di quest’ultimo. Gli elementi costitutivi di tale modello educativo sono diversi e molteplici: la capacità di saper distinguere il punto di vista particolare e quello generale, non soltanto in senso strettamente cognitivo, ossia con riferimento alla capacità applicativa di categorie logico-concettuali a situazioni specifiche mediante processi di generalizzazione. È rilevante anche saper discernere ciò che appartiene ad uno specifico orizzonte culturale, proprio di una specifica tradizione di credenze e valori, da principi, sia conoscitivi che etico-morali, o forme di tipo, per così dire, trascendentale. Ne deriva, quindi, da parte dell’individuo, la capacità o la possibilità di assumere consapevolmente e con competenza cognitiva, posizioni etico-morali, orientamenti di pensiero, al fine di poter anche agire di conseguenza, attraverso atti e comportamenti (ma anche credenze, opinioni e idee) che non siano la pura emanazione del background culturale e valoriale di riferimento, bensì il frutto di una sua autonoma capacità di estraniamento rispetto ad esso e di proiezione di se stesso secondo prospettive "imparziali" (il che non significa certo disconoscere la storicità e la connotazione culturale della propria formazione personale) Indicazioni conclusive: crucialità educativa del trinomio lingua-linguaggio-parola La pedagogia restituisce alle pratiche scolastiche il senso e la struttura di ogni costruzione di un umano compiuto: la lingua, il linguaggio, la parola. Le linee di sviluppo del comportamento intelligente, propriamente umano, mostrano, senza possibili dubbi ed equivoci, la centralità dell’apprendimento linguistico e dell’uso delle lingue nel formarsi e nello strutturarsi del pensiero e dell’azione, la forza modellatrice sottesa all’esercizio della facoltà di parola. Questa centralità è rafforzata e potenziata dalla scrittura e dagli altri mezzi nei quali ha luogo la comunicazione linguistica. L’uso della scrittura e della lettura, le forme di vita che si connettono a tale uso, sono un prodotto ulteriore dell’esistenza storico-sociale dell’uomo, qualcosa che non si era visto prima né in altre specie viventi, ma soprattutto qualcosa che deve essere appreso con uno sforzo intenzionale, continuo e duraturo. Del resto, le stesse lingue storico-naturali sono sistemi complessi che aggregano nel loro funzionamento concreto mezzi plurali: suono, gesto, figurazione, tono, ritmo, uso dello spazio. L’uso quotidiano del linguaggio fonde e associa mille media – e questo è vero da sempre, è proprio dell’umano, non dipende, come saremmo ingenuamente propensi a credere, dallo sviluppo di tecniche di comunicazione elettronica che facilitano l’uso combinato di alcuni media. La centralità della parola e del linguaggio è nella forza modellatrice e nel ruolo del pensiero linguistico di favorire la coscienza e il controllo delle operazioni intellettuali e delle azioni. La riflessione pedagogica sulla scuola, dunque, recepisce questa centralità e ne propone una lettura teorica come centro di movimento e di ordine, necessario e ineludibile, di un’educazione peraltro imperniata sul gioco, sulla narrazione (assieme alla categorizzazione operazione linguistica per eccellenza), sull’uso dei corpi in movimento, sulle capacità plastiche e figurative. Proponiamo quindi una visione pedagogica che intende l’educazione linguistica come viva e concreta base per pratiche di insegnamento e apprendimento in cui il linguaggio e la parola sono la base e il mezzo di un’educazione aperta e plurale: lingua nazionale e lingue straniere, calcolo e pensiero astratto, matematiche, scienze naturali, arti figurative praticate e godute, teatro, musica, sport, rappresentazione filmica cinematografica o televisiva - e via enumerando. Un’educazione linguistica, reinterpretata alla luce di pratiche e riflessioni come quelle di Vygotskij e Milani, che travalichi ampiamente il periplo delle tradizionali discipline linguistiche e rappresenti, come potentemente espresso nell’ultimo capitolo «pensiero e parola» di Pensiereo e linguaggio (uno dei fondamentali testi di studio di questo corso), il fulcro dello sviluppo dell’intelligenza e della vita cosciente, la base sulla quale si costruiscono o almeno si organizzano tutte le altre forme di azione, interazione e comunicazione umana. Se la scrittura potenzia, e in modo logaritmico, queste possibilità di costruzione e organizzazione, la scuola è il luogo della scrittura, della scrittura e della lettura, del calcolo e del disegno: qualcosa di non innato che ha prodotto e produce mondi nuovi, e ci proietta, ogni volta, in mondi da inventare. La riflessione pedagogica, sulla scorta di Milani e Vygotskij, coglie il carattere non spontaneo e non innato della scrittura (e delle altre forme di comportamento tipicamente umane e non innate, come appunto il calcolo, il disegno, l’uso degli strumenti) e accetta la sfida di ripensare la scuola, oggi, nel nostro vivere in società elettroniche, conflittuali, plurali e globalizzate, come sfida difficile ed esaltante del vivere propriamente umano - di un vivere pieno.
( testi)
L. Vygotskij, Pensiero e linguaggio (a cura di L. Mecacci), Roma-Bari, Laterza, 2008. F, Cambi, Manuale di storia della pedagogia, Roma-Bari, Laterza, 2003. M. Giosi, Alfabeti della polis. L’educazione come spazio narrativo, Roma, Anicia, 2022. R.M. Postiglione, Lorenzo Milani, Roma, Anicia, 2000. MIUR, Indicazioni nazionali per il curricolo della scuola dell’infanzia e del primo ciclo d’istruzione, in “Annali della Pubblica istruzione”, numero speciale, Firenze, Le Monnier, 2012. Comitato Scientifico Nazionale per le Indicazioni Nazionali per il curricolo della scuola dell’infanzia e del primo ciclo di istruzione (a cura di), Indicazioni nazionali e nuovi scenari, Roma, MIUR, 2018.
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LABORATORIO DI PEDAGOGIA GENERALE
(obiettivi)
Il Laboratorio di Pedagogia generale ha lo scopo di far conoscere realtà educative rilevanti per la loro collocazione nella letteratura pedagogica contemporanea. Esperienze forti, significative, importanti sono per tutti noi monito al cambiamento e donano nuovo vigore all’educazione. Attraverso l’esperienza diretta della scuola che si rinnova, accogliendo e trasformando, in contesti differenziati, sarà possibile conoscere e comprendere prassi quotidiane dell’educare radicate in principi pedagogici ispirati ad una visione di crescita positiva e di riconoscimento del diritto all’educazione per tutti.
Con il Laboratorio di Pedagogia generale lo studente sarà in grado di conseguire i seguenti obiettivi formativi. L’articolazione degli obiettivi formativi prevede le seguenti aree di conoscenza teorica e pratica. Per conoscenza e comprensione di: - definire ed identificare il campo epistemologico e metodologico del laboratorio; - collocare il laboratorio nella teoria dell’educazione nel contesto nazionale, europeo, internazionale. Per applicazione della conoscenza e della comprensione di: - analizzare le migliori pratiche educative della scuola con riferimento a metodi pedagogici consolidati; - identificare e generalizzare fenomeni e processi educativi. Per autonomia di giudizio di: - collegare la teoria pedagogica alle situazioni scolastiche; - valutare le innovazioni pedagogiche. Per le abilità comunicative di: - usare le strategie di interazione umana nella classe e fuori della classe; - sviluppare la competenza nella progettazione e nella organizzazione del pensiero pedagogico e dell’azione educativa. Per le capacità di apprendimento di: - esercitare la disponibilità alla ricerca scientifica nei contesti scolastici; - comprendere la sfida educativa identificando i problemi e proponendo le soluzioni nella prospettiva della formazione continua.
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POSTIGLIONE ROCCO MARCELLO
( programma)
Autobiografia: modelli, pratiche e implicazioni formative e socio-politiche La scrittura autobiografica, la narrazione di sé, appaiono ricche di implicazioni formative, emancipative, riflessivo-critiche. Alla base di esse, possiamo individuare un bisogno radicale di espressione di sé, un "darsi forma", un rendersi riconoscibili, a sé stessi e agli altri, facendo, quindi, del "riconoscimento" una categoria-chiave dello sviluppo identitario, che chiama in causa la natura intimamente sociale, relazionale (e, come vedremo, politica) di ogni narrazione "privata", individuale, intima. L'autobiografia è, dunque, per prima cosa "bisogno", ma anche, poi, metodo e modello. E tale è diventato all'interno delle pratiche pedagogiche e formative che, negli ultimi decenni, hanno preso corpo, proprio a partire dalla dimensione quotidiana, "anonima" del raccontarsi. Si pensi all'esperienza degli Archivi della memorialistica a Pieve Santo Stefano, fino alla Libera Università dell' Autobiografia, presso Anghiari. Entro tale prospettiva, la categoria della memoria, personale e collettiva, possiede un rilievo essenziale e il tema della narrazione autobiografica non potrebbe prescindere, come da me segnalato, dalla concezioni della memoria elaborate da Bergson e in particolare da Maurice Halbwachs: quest'ultimo, ha elaborato il principio dei "quadri sociali" della memoria, evidenziando il ruolo decisivo che i contesti di riferimento hanno nella stessa formazione delle nostre identità personali e negli stessi meccanismi del ricordare, ridefinirsi, "ri-scriversi", "ri-conoscersi" (ma vedi anche gli studi di Pierre Norà, autore franco-algerino, sui "luoghi della memoria" e sulla "ego-histoire"). Siamo, quindi, anche sul terreno della educazione degli adulti, e il riferimento a Malcolm Knowles è d'obbligo, ma siamo anche sul terreno delle esperienze sociali, storiche e politiche di grande significato, che, nel corso del Novecento ed oltre, hanno contrassegnato la nostra storia. Sia quelle che rimandano alla sociologia americana della Scuola di Chicago (si pensi agli studi sugli "Hobos" di Anderson, o sulle "gang" giovanili di Cohen e Trasher, o sui migranti, di Thomas e Znaniecki, etc.), sia quelle connesse alla cultura afroamericana negli U.S.A. (dalle ricerche etnoantropologiche sulla musica blues e sui bluesmen di Alan Lomax, fino alle espressioni più dirette ed emblematiche della rivendicazione identitaria e politica: vedi l' Autobiografia di Malcolm X) o alle culture dei nativi indiani (Bruce Trigger tra tutti). Senza dimenticare il cruciale ruolo svolto, in Gran Bretagna, dai sociologi/educatori quali Raymond Williams, Richard Hoggarth, Stuart Hall, fondatori dei "Cultural Studies" (sia riguardo alla nozione di "cultura", sia in merito all' utilizzo del metodo autobiografico, etc.). Ma anche l'Italia ha conosciuto esperienze assai significative di una vera e propria "pedagogia sociale e politica", per merito di autori quali Nuto Revelli, Danilo Montaldi, Danilo Dolci, educatori schierati, a pieno titolo, sul fronte delle lotte per l'emancipazione dei ceti subalterni e fautori di esperienze e metodologie che proprio nei "vissuti" e nelle "storie di vita", hanno tratto elementi cruciali sul fronte di buone pratiche e di elaborazioni teoriche e politiche. Da non dimenticare, ancora, l'esperienza educativa "sul campo" dei maestri, e Mario Lodi e Bruno Ciari ne hanno costituito esempi preziosi, anche sulla scorta delle esperienze francesi di Jacques e Mona Ozouf. Le pratiche autobiografiche e le svolte esistenziali e professionali Certamente il metodo autobiografico può avere una sua crucialità in ambito professionale-lavorativo, laddove si tratti di "rileggere" sé stessi e il proprio bagaglio di esperienze, conoscenze, competenze, in vista di una ridefinizione di sé sul terreno della "riqualificazione" professionale. Ovvio che tali processi investono, sempre, perlomeno tre aspetti della identità personale: 1)quello , più intimo, connesso alla "rappresentazione di sé", intriso di valenze affettive, cognitive, immaginative, che si gioca sul piano di una dialettica tra ciò che io sono e ciò che vorrei essere, alla luce di ciò che sono stato 2)Quello di natura sociale, relativo a mio "essere per gli altri", e quindi anche a come gli altri vedono me stesso, che si nutre, nell'arco della mia vita, di una serie di aspettative (familiari, sociali, lavorative, etc.) che il mio ambiente sociale di riferimento crea nei miei confronti, e che che viene a mia volta recepito da me, sempre entro una dialettica tra adesione/conflitto 3)Quello di matrice eminentemente professionale/lavorativa che, soprattutto nell'attuale condizione "liquida", per dirla con Bauman, segnata dalla flessibilità, precarietà, da dinamiche di mutamento repentine, costringe la persona ad un costante processo di revisione, ri-adattamento e possibili nuovi sviluppi delle conoscenze/competenze acquisiti, in vista di una ridefinizione del proprio ruolo professionale. Fondamentale, in tal senso, poter valorizzare l'intero complesso delle proprie esperienze e dei propri saperi, non soltanto quelli già parzialmente formalizzati (mediante lo studio e il lavoro), ma anche quelli "informali", potenziali, espressivi, relazionali che possono divenire una fonte o un bacino esperienziale da mettere a frutto entro nuove configurazioni e "avventure" professionali/lavorative. Questi tre momenti, personale, sociale, professionale (che sono sempre, intrinsecamente, anche "politici", relativi alla vita in una polis), appaiono, ovviamente, sempre intrecciati e densi di implicazioni affettive/cognitive/relazionali e questo significa che , ad esempio, la brusca interruzione di una esperienza lavorativa reca sempre in sé conseguenze ed effetti che riguardano tutti e tre questi piani (personale, sociale, professionale), sul terreno di una "crisi" anche profonda della "rappresentazione di sé", del proprio ruolo familiare, sessuale, sociale, etc. Questo significa anche che, a voler essere realisti, tutto il discorso sulla autobiografia come metodo di ri-orientamento professionale, nasce sempre da situazioni critiche, di scacco, di difficoltà (quasi mail il contrario...), di perdita. Ad essere interrotta è la linearità dell'intero proprio percorso esistenziale, non solo professionale. Ovviamente, per vedere la cosa in termini costruttivi, e in una prospettiva di autoformazione e di apprendimento life long, è bene cercare di cogliere in queste fasi critiche della vita anche occasioni e opportunità di emancipazione, sviluppo professionale, lavorando su sé stessi e sul proprio background di saperi/conoscenze/competenze entro un percorso ri-costruttivo (ma anche, prima, de-costruttivo talvolta) che si accompagni ad un costante "esercizio di riflessività". Tale attitudine riflessiva (vedi in particolare tale nozione in Anthony Giddens), deve, in un certo senso, diventare un "habitus" per noi, una "forma mentis", e diventa cruciale all'interno di una prospettiva di autoformazione e apprendimento continuo. Tutto questo discorso, tuttavia, deve trovare un filo comune, una fondamento e orizzonte di senso in cosa? Nella dimensione narrativa, in quel "principio narrativo" che è, come ha scritto Bruner, esattamente il dispositivo strutturale che permette, già al bambino, di costruire, al contempo, sé stesso e il proprio orizzonte di realtà. La nostra identità personale è, stutturalmente, "narrativa" (su questo si potrebbe vedere Paul Ricoeur, oltre a Bruner, ma non solo), perché l'uomo è , costitutivamente, "un animale che racconta storie", o un "animale simbolico (Cassirer), o ermeneutico, etc. E l'impulso originario che si connette a tale strutturale tendenza narrativa della persona, è quello legato al "dare senso" "cercare senso", trovando motivazioni e ragioni vitali in quello che si è e si fa. Ecco, allora, che il discorso legato al metodo autobiografico quale strumento/modalità di ri-orientamento professionale, passa attraverso il riferimento costante ed essenziale a tale potersi e sapersi ri-raccontare, ridefinire narrativamente. Persino il possesso di un lavoro sicuro, talvolta, se non è accompagnato da una nostra adesione ad esso sul terreno del "senso", "motivazione", etc., può finire con l'estraniarci spingendoci, magari, a volerci proiettare su spazi e percorsi lavorativi ben differenti, che possano appagarci non solo sul versante economico, ma anche su quello della realizzazione personale. Ma, al di là di questo ottimistico caso, la narrazione come metodo autobiografico può tornare utile proprio laddove si tratti, invece, di dover costantemente mutare il "racconto di sé", sulla spinta di cambiamenti anche traumatici o imprevisti. L'autobiografia, quindi, è autoorientamento, è pratica educativa e formativa per la persona, che reca in sé una azione costante di ricostruzione di significati, all'interno di una dialettica di riflessività che chiama in causa un "io narrante" e un "io narrato o di cui si narra" , che pone in continua interazione l'orizzonte della quotidianità con quello più intimo, ideale, sempre all'interno di uno spazio socialmente condiviso nel quale le mie memorie personali si intrecciano con le memorie collettive, con i quadri sociali della memorie (Maurice Halbwachs). Esiste, infatti, un nesso profondo tra identità personale e memoria, e il principio narrativo ne è il tramite essenziale. Ma ogni processo di rievocazione, rilettura, ri-costruzione di sé, non avviene mai , soltanto, nel proprio io intimo, ma è intrinsecamente socializzato.
Esercizi di autobiografia La pratica della scrittura e della riflessione autobiografica è divenuta, negli ultimi 40 anni, sempre più centrale nelle riflessioni di tutte le discipline sociali ed umane. Vi è stato un immenso lavorio applicativo che ha permesso numerosissime declinazioni dell’impianto autobiografico all’interno di pratiche di ricerca e, in misura forse ancor più rilevante, di pratiche cliniche o di servizio o di formazione. A questa straordinaria espansione euristica e applicativa ha fatto riscontro anche un significativo moltiplicarsi di studi scientifici, anche empirici, che hanno mostrato ripetutamente una positiva correlazione delle pratiche autobiografiche con miglioramenti delle condizioni di chi le ha intraprese. A puro titolo di esempio, tra i migliaia di studi disponibili, possiamo qui ricordare le analisi svolte da Daniel Siegel (La mente relazionale. Neurobiologia dell'esperienza interpersonale, Milano, Cortina, 2013), che mostrano sia i benefici clinici sia le ricadute neurofisiologiche dell’uso di dispositivi imperniati sull’autobiografia. Sia le nostre convinzioni teoriche sia questi numerosi riscontri ci spingono a ritenere che, al principio del percorso di formazione di un insegnante di scuola dell’infanzia o primaria, per praticare quanto si studia nel percorso di lavoro dell’insegnamento, possa essere estremamente utile un laboratorio didattico imperniato proprio sull’esercizio della scrittura autobiografica. A una introduzione storico teorica sui modelli di scrittura autobiografica, faranno seguito brevi lavori di gruppo per un confronto tra pari. Infine, uno o più esercizi di scrittura autobiografica vera e propria, ai quali i docenti forniranno un riscontro.
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Dispense fornite dai docenti
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Attività formative di base
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