Docente
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GIOSI MARCO
(programma)
Il principio narrativo-autobiografico come paradigma pedagogico-educativo.
La scrittura autobiografica, la narrazione di sé, appaiono ricche di implicazioni formative, emancipative, riflessivo-critiche. Alla base di esse, possiamo individuare un bisogno radicale di espressione di sé, un "darsi forma", un rendersi riconoscibili, a sé stessi e agli altri, facendo, quindi, del "riconoscimento" una categoria-chiave dello sviluppo identitario, che chiama in causa la natura intimamente sociale, relazionale (e, come vedremo, politica) di ogni narrazione "privata", individuale, intima. L'autobiografia è, dunque, per prima cosa "bisogno", ma anche, poi, metodo e modello. E tale è diventato all'interno delle pratiche pedagogiche e formative che, negli ultimi decenni, hanno preso corpo, proprio a partire dalla dimensione quotidiana, "anonima" del raccontarsi. Si pensi all'esperienza degli Archivi della memorialistica a Pieve Santo Stefano, fino alla Libera Università dell' Autobiografia, presso Anghiari. Entro tale prospettiva, la categoria della memoria, personale e collettiva, possiede un rilievo essenziale e il tema della narrazione autobiografica non potrebbe prescindere, come da me segnalato, dalla concezioni della memoria elaborate da Bergson e in particolare da Maurice Halbwachs: quest'ultimo, ha elaborato il principio dei "quadri sociali" della memoria, evidenziando il ruolo decisivo che i contesti di riferimento hanno nella stessa formazione delle nostre identità personali e negli stessi meccanismi del ricordare, ridefinirsi, "ri-scriversi", "ri-conoscersi" (ma vedi anche gli studi di Pierre Norà, autore franco-algerino, sui "luoghi della memoria" e sulla "ego-histoire"). Siamo, quindi, anche sul terreno della educazione degli adulti, e il riferimento a Malcolm Knowles è d'obbligo, ma siamo anche sul terreno delle esperienze sociali, storiche e politiche di grande significato, che, nel corso del Novecento ed oltre, hanno contrassegnato la nostra storia. Sia quelle che rimandano alla sociologia americana della Scuola di Chicago (si pensi agli studi sugli "Hobos" di Anderson, o sulle "gang" giovanili di Cohen e Trasher, o sui migranti, di Thomas e Znaniecki, etc.), sia quelle connesse alla cultura afroamericana negli U.S.A. (dalle ricerche etnoantropologiche sulla musica blues e sui bluesmen di Alan Lomax, fino alle espressioni più dirette ed emblematiche della rivendicazione identitaria e politica: vedi l' Autobiografia di Malcolm X) o alle culture dei nativi indiani (Bruce Trigger tra tutti). Senza dimenticare il cruciale ruolo svolto, in Gran Bretagna, dai sociologi/educatori quali Raymond Williams, Richard Hoggarth, Stuart Hall, fondatori dei "Cultural Studies" (sia riguardo alla nozione di "cultura", sia in merito all' utilizzo del metodo autobiografico, etc.).
Certamente il metodo autobiografico può avere una sua crucialità in ambito professionale-lavorativo, laddove si tratti di "rileggere" sé stessi e il proprio bagaglio di esperienze, conoscenze, competenze, in vista di una ridefinizione di sé sul terreno della "riqualificazione" professionale. Ovvio che tali processi investono, sempre, perlomeno tre aspetti della identità personale: 1)quello , più intimo, connesso alla "rappresentazione di sé", intriso di valenze affettive, cognitive, immaginative, che si gioca sul piano di una dialettica tra ciò che io sono e ciò che vorrei essere, alla luce di ciò che sono stato 2)Quello di natura sociale, relativo a mio "essere per gli altri", e quindi anche a come gli altri vedono me stesso, che si nutre, nell'arco della mia vita, di una serie di aspettative (familiari, sociali, lavorative, etc.) che il mio ambiente sociale di riferimento crea nei miei confronti, e che che viene a mia volta recepito da me, sempre entro una dialettica tra adesione/conflitto 3)Quello di matrice eminentemente professionale/lavorativa che, soprattutto nell'attuale condizione "liquida", per dirla con Bauman, segnata dalla flessibilità, precarietà, da dinamiche di mutamento repentine, costringe la persona ad un costante processo di revisione, ri-adattamento e possibili nuovi sviluppi delle conoscenze/competenze acquisiti, in vista di una ridefinizione del proprio ruolo professionale.
Parte Laboratoriale: narrazione, formazione e cinema L'esperienza che facciamo del cinema, del guardare un film, si inserisce entro uno spazio connotato da profonde e cruciali valenze di formatività. E' uno spazio nel quale la persona può ricreare, sperimentare, rielaborare la realtà, senza rischi e vincoli, all'interno di una dialettica che vive all'insegna di una tensione creativa tra immedesimazione e straniamento, tra illusione e verità, tra apparenza e realtà. Lo schermo cinematografico, del resto, è assimilabile ad uno specchio che riflette, trasfigura, inganna, deforma, inventa, generando un caleidoscopico dinamismo di forme di vita, mostrandoci il mondo e la realtà attraverso un prisma che dissolve e frantuma la nostra visione delle cose per poi ricomporla secondo configurazioni e principi associativi inaspettati e sorprendenti, all'insegna dello stupore e della meraviglia. Le nostre stesse emozioni sono sottoposte a sollecitazioni che provengono dalla nostra attitudine mimetica che ci spinge a riviverle (o a viverle per la prima volta) attraverso le "vite sullo schermo", permettendoci di fare esperienze sentimentali importanti ai fini della elaborazione e costruzione del nostro universo affettivo, dei nostri contenuti di pensiero, del nostro stesso sviluppo identitario e relazionale, del nostro "darci forma". La pressione performativa del film induce nello spettatore la possibilità di provare emozioni, meditare, pensare. Il cinema reca in sé, dunque, un peculiare valore formativo nella misura in cui lavora sulla possibilità di far affiorare i vissuti del soggetto, le complesse dinamiche emozionali, che vengono ad essere sollecitate dal potenziale di fascinazione catartica che il linguaggio filmico reca in sé, sia sul piano narrativo, sia sul piano iconico-immaginativo, rendendone quindi analizzabili e coscientizzabili i contenuti. il cinema mostra il "corso delle cose", mentre le inscrive dentro la costante trasformazione che le anima
(testi)
M. Giosi, Alfabeti della polis. L'educazione come spazio narrativo, Roma, Anicia, 2022. D. Demetrio, Raccontarsi. L'autobiografia come cura di sé, Raffaello Cortina Editore, Milano, 2022 (i primi 8 capitoli). Un testo a scelta tra: E. Morin, Il cinema o l'uomo immaginario, Raffaello Corina Editore, Milano, 2016 e E. Morin, Sul cinema, Raffaello Cortina, Milano, 2018. Di entrambi andranno studiate solo alcune parti indicate dal docente
Parte Laboratoriale: visioni, letture e letture di film: due film a scelta tra:
Il posto delle fragole di Ingmar Bergman Truman Show di Peter Weir Blade Runner di Ridley Scott L'attimo fuggente di Peter Weir Le vite degli altri di Florian Henckel Ladri di biciclette di Vittorio De Sica Farenheit 451 di François Truffaut Arancia Meccanica di Stanley Kubrick American beauty di Sam Mendes Un angelo alla mia tavola di Jane Campion Bellissima di Luchino Visconti Sweet Sixteen di Ken Loach Storia di una ladra di libri di Brian Percival Quadrophenia di Franc Roddam
Gloria di John Cassavetes Gente comune di Robert Redford Mignon è partita di Francesca Archibugi Il signore delle mosche di Peter Brook
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